Antropologia

Razze umane e razzismo

Ha ancora senso parlare di razze umane?

Oggi gli antropologi e biologi sono concordi nel sostenere che non ha più senso parlare di razze umane per almeno due motivi fondamentali.

 

Innanzi tutto le scoperte della biologia hanno ampiamente dimostrato che le caratteristiche esteriori, come il colore della pelle, le dimensioni e la forma del corpo, su cui tradizionalmente si basavano le distinzioni razziali non trovano corrispondenza in una differenza genetica altrettanto evidente.

 

Secondariamente troviamo che le differenze tra singoli individui, per quasi tutti i caratteri ereditari osservati, sono più importanti di quelle che si vedono tra popoli diversi.

 

Ma c'è di più, alla domanda: "Quante razze esistono sulla Terra?" non sappiamo rispondere per il semplice fatto che passando da una popolazione ad un'altra confinante c'è molto spesso una gradualità continua nella variazione di tutti i caratteri, compreso il colore della pelle.

Nel passato gli scienziati hanno suddiviso la specie umana in tre, quattro, cinque o perfino decine di razze diverse. Tutte queste classificazioni sono arbitrarie.

 

Quando si è cominciato a parlare di "razza"?
Il termine razza nasce nell'età moderna ma un vero interesse scientifico per una classificazione della specie umana in razze si sviluppa nel XVIII secolo segnando la nascita dell’antropologia. Ancora oggi per antropologia si intende, oltre che lo studio dei costumi e dei comportamenti, la classificazione delle razze e dei popoli.
Al centro dei dibattiti sulla classificazione vi fu fin dall'inizio il quesito se l'ambiente potesse in una certa misura influenzare il formarsi e lo svilupparsi di una razza, o se la maggior parte delle caratteristiche di questa fossero ereditate. Si tratta di un problema di vitale importanza, perché sono questi fattori a determinare quanto profondo sia il divario che separa le differenti razze: se esso sia connaturato e perciò permanente, o dovuto all'ambiente  e perciò soggetto a mutamento.
Le prime classificazioni dei gruppi umani, operate dai naturalisti del XVIII secolo, posero le premesse per una divisione dell'umanità in razze secondo criteri geografici e morfologici ma non furono concepite per esprimere esplicitamente una categoria crescente di valori dalle razze inferiori a quelle superiori. Quest'ultima preoccupazione crebbe nel XIX secolo insieme con quella della purezza della razza.

 

Cos'è il razzismo?

Nell'ottica odierna, uno studio volto a dimostrare l'inferiorità di certe razze e la superiorità di altre è un atteggiamento razzista. Il termine razzismo nasce però negli anni trenta del Novecento, nei secoli precedenti era una parola sconosciuta e non c'era nemmeno la consapevolezza che certi atteggiamenti e certi comportamenti fossero razzisti nel senso negativo che oggi diamo a questa parola.


Il razzismo è probabilmente vecchio quanto le società umane. In Africa, ad esempio, i pigmei sono spesso considerati poco più che bestie dagli agricoltori locali. A questa forma di razzismo, che discende direttamente dalla nostra innata xenofobia, la paura del "diverso", se ne aggiunge una forma più grave che è la diversità giustificata scientificamente, ossia la concezione secondo cui quelli che stanno in basso in una graduatoria di razze umane sono inferiori per vari motivi perché sono fatti di materiale scadente per natura. Questo pensiero ha caratterizzato una certa parte delle idee scientifiche in antropologia e psicologia fino ai giorni nostri. esso può essere definito in due parole come determinismo biologico.

 

Il determinismo biologico sostiene che le norme comportamentali comuni e le distinzioni sociali ed economiche tra i gruppi umani (razze, ma anche classi e sesso) derivano da differenze innate ereditate, e che la società in questo senso è un esatto riflesso della biologia.

Riassumendo, possiamo dire che il pregiudizio razziale è forse vecchio quanto la storia umana, ma la sua giustificazione biologica, a partire dal XIX secolo, impose l'ulteriore fardello dell'inferiorità intrinseca sui gruppi disprezzati e precluse loro la redenzione per trasformazione o assimilazione.

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